Museo dell'abbazia di Farfa

MUSEO DELL'ABBAZIA DI FARFA. Allestimento e progetto museografico del museo storico-archeologico dell'Abbazia di Farfa. Con Ennio De Concini, Guido Fiorato, Emanuele Luzzati, Walter Maestosi, Marcello Morgante.

spazi consonanti - rito segreto - dettaglio allestimento

Un museo tra architettura e teatro: le testimonianze storiche e archeologiche diventano parte di un racconto visivo e sonoro

Il progetto del Museo archeologico dell’Abbazia di Farfa, uno dei complessi monumentali più importanti - sotto il profilo storico-artistico – dell’Italia centrale, è stato un esempio di incontro tra architettura e teatro.

Il Museo doveva occupare una manica del convento restaurato, esponendo un patrimonio altomedievale (V-XII sec.) di grandissimo valore, ma molto esiguo: pochi frammenti ceramici, vitrei, metallici, qualche elemento lapideo di grandi dimensioni e un preziosissimo cofanetto amalfitano in avorio del XII-XIII secolo.

La prima scelta, architettonica, fu di occupare lo spazio della manica conventuale centralmente. A tale scopo fu realizzato un unico volume trasparente, con uno sviluppo di 24 metri, per 70 centimetri di profondità, la cui altezza fu determinata in armonia con l’architettura antica, fermandosi all’imposta delle volte a crociera.
Il volume contiene anche tutti gli elementi impiantistici - che corrono lungo la zoccolatura di base - in un apposito vano senza disturbare l’architettura del complesso monumentale: la linea continua consentì, una volta allestito il museo, di procedere all’illuminazione puntuale del patrimonio e della scenografia, con apposite calibrature sui singoli elementi.

L’ambiente della manica conventuale fu oscurato e le pareti furono rivestite di stoffa nera, con l’obiettivo di dare maggior risalto a ciò che la vetrina avrebbe esposto. Si scelse quindi di contestualizzare lo scarno patrimonio in un racconto, storico e immaginifico allo stesso tempo, della storia dell’Abbazia, sulla base del Chronicon Farfense scritto dal monaco Gregorio da Catino sul finire dell’XI secolo. Il lungo volume in vetro diventava così la traduzione di un grande libro dispiegato, un racconto costruito, come una scenografia, sui passi del visitatore.

13 laboratori artistici dal nord al sud d'Italia, uno sceneggiatore, due scenografi, un attore per tradurre e rappresentare l'antico testo del Chronicon Farfense

La necessità di tradurre e rappresentare l’antico testo ha motivato i progettisti a chiamare alla realizzazione dell’allestimento figure tutte provenienti dal mondo del teatro: Emanuele Luzzati (insieme al suo collaboratore Guido Fiorato), scenografo e illustratore di chiara fama, “Grande Ufficiale della Repubblica” nel 2001 per i suoi meriti artistici, Ennio De Concini, sceneggiatore e scrittore, Premio Oscar nel 1963; 13 laboratori artistici dislocati dal Nord al Sud d’Italia, specializzati nelle diverse materie che avrebbero dato corpo tridimensionale alla rappresentazione: legno, tessuti, cartapesta, ceramica, vetro, ecc.
Il testo medievale di Gregorio da Catino fu riadattato in dodici scene fondamentali dai curatori scientifici, e quindi tradotto in poesia da Ennio De Concini. Questo testo, recitato dal grande attore Walter Maestosi (celebre la sua incisione della Divina Commedia), accompagna il visitatore attraverso il museo: dodici microfoni con un audio molto controllato si azionano progressivamente, componendo un tessuto di suoni, simile ad un coro di voci sussurrate.
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