Colosseo, Il rito segreto

COLOSSEO, IL RITO SEGRETO. Allestimento della mostra Il rito segreto - misteri in Grecia e a Roma nelle gallerie espositive del Colosseo, a Roma. Con Gianandrea Gazzola, Vania Gianese, Vincenzo Padiglione, Stefano Scialotti.

spazi consonanti - rito segreto - dettaglio allestimento

Ubicazione e tipologia dell'allestimento: le due gallerie al primo piano del Colosseo tra architettura e arti contemporanee

L’esposizione temporanea “Il rito segreto – misteri in Grecia e a Roma” occupava le due gallerie del primo livello del Colosseo rivolte verso il Colle Oppio, per circa 150 metri del loro sviluppo.

Questi due ambulacri, normalmente utilizzati ai fini espositivi, pur essendo comunicanti, sono tra loro molto diversi: la galleria esterna si apre ai suoni e alla luce naturale dell'ambiente urbano sottostante; la galleria interna, le cui volte hanno una quota di imposta più bassa, è uno spazio raccolto dove luci e rumori arrivano attutiti. I fornici della galleria interna, rivolti verso l'arena, erano stati chiusi negli anni con tamponature molto eterogenee. 
Assecondando le vocazioni del monumento, si decise, nel progetto di allestimento, di accentuare la distinzione tra questi due spazi longitudinali, concentrando il patrimonio nella più raccolta galleria interna e differenziando supporti, regia di luci, linguaggi artistici e multimediali.

L’allestimento si articolava a partire dalla variazione e modulazione di pochi supporti flessibili, che assumono valori narrativi di volta in volta diversi. A questi elementi fisici si accompagnavano i linguaggi multimediali di installazioni sonore e di videoproiezioni, studiati a partire dalla geometria e dal ritmo del monumento, e coinvolti sin dal principio nello sviluppo del progetto narrativo.

La composizione dell'allestimento: una partitura di elementi seriali

Il disegno dei supporti: materiali e proporzioni in rapporto con l'architettura monumentale

I supporti che costruivano l’impianto espositivo e narrativo della mostra erano: degli elementi pieni ad impianto lenticolare, gli scudi, posti nei fornici tra le gallerie; degli elementi volumetrici cavi, le esedre, addossati ai fornici della galleria interna; dei filtri di luce naturale, o velari, montati a pressione su alcuni fornici verso la cavea.

Scudi ed esedre erano realizzati con strutture di acciaio, riempiti di materiale isolante e rivestiti da fasce orizzontali di lamiera metallica che riprendevano le altezze dei conci delle vicine masse murarie. La finitura a cera della lamiera brunita, assorbiva la luce con diversa intensità a seconda dell’orientamento dei diversi elementi, governando puntualmente riflessi e atmosfere. L’effetto che ne derivava, era quello di una presenza austera, antica, in consonanza con l’architettura del monumento.
Gli scudi, imbilicati in chiave ai fornici centrali, assolvevano una triplice funzione: contenevano e “rompevano” il rumore della galleria esterna; regolavano, in base all’impianto narrativo della mostra, il passaggio dei visitatori tra le due gallerie; aiutavano a diffondere, assieme alle esedre, l’installazione sonora scritta per la mostra.

Le esedre avevano forma concava autoportante ed erano destinate ad accogliere tutto il patrimonio archeologico, articolandolo in coerenti unità tematiche, individuate dal progetto scientifico della mostra. Il loro fronte interno era dotato di un sistema di sospensione – costituito da boccole di considerevoli dimensioni – che consentiva una versatile disposizione degli oggetti, a prescindere dalla loro forma, dimensione e peso. Oggetti di grandi dimensioni e pezzi di particolare rilievo scientifico, erano posti su supporti isolati che sporgevano dalle pedane verso il passaggio interno.

Linguaggi artistici immersivi e didascalici: videoproiezioni e installazioni sonore

Nella galleria interna, il patrimonio esposto era accompagnato da un linguaggio artistico immersivo. Un’installazione sonora, scritta e concepita da Gianandrea Gazzola specificamente per l’impianto narrativo dell’allestimento, accompagnava le diverse unità tematiche. Frammenti di lingue antiche, sonorità di antiche processioni, venivano reinterpretati in una partitura che si costruiva sul ritmo e sulla disposizione degli supporti architettonici.

La galleria esterna era invece il contesto ideale per la parte comunicativa e divulgativa dell’allestimento. Un nastro longitudinale retroilluminato, addossato allo schermo in lamiera forata che segue i fornici esterni, informava il visitatore prima di farlo entrare negli ambienti più nascosti, intimi, della galleria interna. 
Il linguaggio delle videoproiezioni accompagnava la comunicazione scientifica, mostrando le tracce delle civiltà antiche nella contemporaneità, aiutando a introdurre la visita ai patrimoni archeologici, così distanti nel tempo, attraverso un legame con il mondo attuale. Il regista Stefano Scialotti, autore delle installazioni visive, aveva costruito un montaggio tra immagini storiche e accenti sulla contemporaneità; questi venivano attivati e si sovrapponevano alle immagini in bianco e nero ogni qualvolta dei sensori registravano un picco nel tappeto sonoro della città, rafforzando il rapporto museografico tra galleria e ambiente urbano.
Lo stato dei luoghi ante operam
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