Non è difficile riscontrare un’analogia tra queste riflessioni sull’architettura come spazio per l’arte
e la già citata esperienza dell’allestimento del Museo dell’olio della Sabina. L’architettura del Museo è un tutt’uno con le opere esposte: sei installazioni - e i rispettivi vuoti - saturano due piani di un palazzo rinascimentale, accompagnando il visitatore in una lenta salita dalle pendici fino al centro del borgo di Castelnuovo di Farfa. Se si osservano, poi, le prime tre opere del Museo, tutte realizzate da Lai, si fa chiara anche la sottile distinzione tra luce naturale, innaturale e artificiale, presentata nelle tre carte “P”, “Q”, “R”. La prima opera, Preambolo
è all’esterno del Museo: una superficie scabra, incisa, varia nella grana e nel colore col variare d’intensità della luce naturale; nella penombra dell’ingresso si riconosce la seconda opera, L’albero del poeta, illuminata con luce innaturale, uniforme ma vibrante; nella terza, infine - nell’installazione ambientale Olio di parole
- la luce artificiale diventa sostanza fisica: viene tagliata, scomposta e concentrata in un gioco di accenti scenografici.
[estratto dall'articolo pubblicato nel volume Io capisco solo l'arte antica. Educare, apprendere, interpretare al MAXXI]